Fukushima, sei mesi dopo: il punto sul disastro nucleare
A quasi sei mesi dal terremoto-maremoto del Tohoku e dalle drammatiche conseguenze patite dall'impianto nucleare di Fukushima Daiichi, un velo di silenzio ha ricoperto la vicenda; i media occidentali, dal principio attenti a riportare ogni dettaglio in maniera quasi maniacale e a cavalcare le paure della gente, hanno abbandonato Fukushima al suo destino e in Italia, già prima della tornata referendaria di giugno che ha detto no al ripristino dell'energia atomica nel nostro paese, non si parlava quasi più di quello che, lo ricordiamo, di fatto è stato probabilmente il più grave incidente mai avvenuto in questo ambito.
La rivista Nature ha pubblicato un interessante articolo che cerca di fare il punto sulla situazione attuale presso il sito della (fu) centrale nucleare di Fukushima I di cui andiamo ora a riprendere i principali contenuti presentando anche un video riassuntivo:
al momento attuale nel sito della centrale lavorano dai 2500 ai 3000 operatori, alcuni impegnati nella rimozione dei detriti radioattivi, altri alla decontaminazione dell'acqua radioattiva, altri ancora sono attivi nella costruzione della copertura del reattore numero uno; parliamo di persone che in molti casi non sanno nemmeno cosa voglia dire lavorare in un ambiente contaminato, operatori reclutati in tutta fretta dalla Tokyo Electric Power Company (TEPCO, società che gestisce l'impianto) con retribuzioni fuori mercato che, ci dicono molto circa i rischi cui questi lavoratori sono esposti.
La situazione all'interno dei tre reattori in emergenza (i primi tre, su un totale di sei) è indubbiamente migliorata ma non è ancora esente da rischi: la temperatura all'interno del reattore 1 è stabilizzata intorno ai 90 gradi (da qui la possibilità di avviare i lavori di copertura), mentre nei reattori 2 e 3 è ancora di poco superiore ai 100. Rispetto a marzo, quando si toccarono temperature di 400 gradi, è evidente che si stia raggiungendo una certa stabilità, ma rimane ancora la necessità di un raffreddamento attivo da parte dei lavoratori; questo non sarà più necessario quando il nocciolo dei reattori sarà stabilmente sotto i 100 gradi e non rilascerà più calore conseguente al decadimento del combustibile fissile.
Rimane infine il problema più grave, quello dello smaltimento dei detriti radioattivi, dell'acqua contaminata e soprattutto della rimozione (possibile forse solo nel lungo periodo) del combustibile radioattivo, probabilmente fusosi e fuoriuscito dalle vasche di contenimento, che si trova all'interno dei reattori, un luogo inaccessibile ancora per anni agli uomini. Tutto questo senza dimenticare la perdita di una parte di territorio che sarà probabilmente esclusa dall'accesso e dalle attività umane così come è avvenuto dopo Chernobyl con la creazione di una zona di alienazione.