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Deposito nucleare: la questione giapponese dopo Fukushima

Di Francesco Calderone in , 8 Maggio 2011
2 commenti
Deposito nucleare: la questione giapponese dopo Fukushima

Mentre nell'impianto di nucleare di Fukushima I si lavora assiduamente per la stabilizzazione dei reattori danneggiati in previsione dell'arresto a freddo degli stessi, si comincia opportunamente a discutere delle scorie ulteriori prodotte in questi mesi e del loro stoccaggio; un problema certamente già ben noto ma che ha conosciuto con la crisi di Fukushima un incremento nell'attenzione dei media e dell'opinione pubblica giapponese.

In particolare in questi giorni ha conosciuto una certa diffusione nelle sale nipponiche il film-documentario del regista danese Michael Madsen intitolato "Into Eternity"; uscito in anteprima nel 2009 e distribuito a partire dal 2010, Into Eternity affronta proprio il problema dello stoccaggio e dello smaltimento delle scorie radioattive, prendendo le mosse dal deposito finlandese in costruzione sull'isola di Olkiluoto (chiamato Onkalo, nascondiglio, fig.1) che dovrebbe cominciare ad accogliere la taniche di combustibile esausto a partire dal 2020 per un lasso di tempo stimato in 100.000 anni.



Ora, capiamo bene come 100.000 anni siano un orizzonte temporale enorme su scala umana e come non si possa neppure lontamente prevedere alcunchè su cosa accadrà agli esseri umani a al nostro pianeta in un lasso di tempo tanto ampio, ma sta di fatto che ci sono alcuni elementi, in primis il plutonio-239 che ha un tempo di dimezzamento di 24.200 anni e la cui radioattività rimane alta per più di 100.000 anni, che necessitano di uno smaltimento sicuro e permanente onde evitare la proliferazione nucleare e i rischi da contaminazione radioattiva. Come intervenire dunque?

Il buon senso suggerirebbe di evitare il più possibile di crearci da noi, con le nostre mani, dei potenziali e letali pericoli per la nostra sopravvivenza, specie quando il calcolo del rischio è così approssimativo, abbraccia scale temporali enormi e c'è la concreta possibilità che il gioco non valga la candela; evidentemente però sono altri i criteri che guidano le azioni dell'uomo e se non ci si cura di cosa accadrà alla generazione che verrà dopo di noi, pensate che possa importare cosa accadrà da qui a 2000, 10000 o 100000 anni?!

In Giappone, come in Italia d'altronde, non esiste tuttora un deposito definitivo (ammesso che si possa utilizzare questo attributo) per le scorie radioattive. L'ente preposto alla costruzione, al monitoraggio e al funzionamento del deposito oltre che alla ricerca e alla selezione di un sito adatto per esso è la Nuclear Waste Management Organization of Japan (NUMO), la quale, per il finanziamento del progetto, beneficia di una tassa ad hoc (a carico di tutte le utenze elettriche che si avvalgono di energia elettrica prodotta col nucleare) che quest'anno le ha fruttato l'equivalente di 700 milioni di euro.



Il problema, dice Takeshi Yamada, rappresentante della NUMO, è che "la promessa di miliardi di yen di sussidi per le comunità che accettassero di ospirare il deposito nucleare non è abbastanza allettante": i soldi non comprano la vita, il futuro e i ricordi legati ai luoghi che hanno fatto e fanno da cornice alle nostre esistenze.

In teoria, una volta che venisse identificato un possibile luogo, ci vorrebbero 20 anni per l'indagine sulle caratteristiche geologiche del sito che, solo se fossero ritenute compatibili, consentirebbero il via dei lavori di scavo (altri 10 anni) per creare lo spazio necessario al deposito, profondo circa 500 metri. Yamada ha detto che secondo il progetto, il deposito sotterraneo sarebbe riempito con 40.000 contenitori di solidificazione in acciaio inox nei quali verrebbero immagazzinati tutti i combustibili esauriti prodotta dalle centrali del Giappone dal 1960 al 2030 circa.

Tutto questo, però, come detto, dipende dal fatto che NUMO possa trovare il sito adatto e ottenere il consenso della comunità locale, una circostanza questa che, alla luce dell'accresciuto allarme verso l'energia nucleare in generale, sembra improbabile nell'immediato futuro. Politici, sociologi ed economisti parlerebbero di sindrome NIMBY (Not In My Back Yard, lett. "Non nel mio cortile"), ma voi, francamente, accettereste di avere un deposito di scorie radioattive sotto casa? Personalmente non credo che siano i cittadini coloro da baisimare...

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  1. zegalvis
    L'unica soluzione realmente valida per liberare la terra dalle scorie radioattive in tempi ragionevoli è quello di lanciarle nello spazio in rotta di collisione con il sole oppure con Giove.
    Si eliminerebbero i tempi d'attesa lunghissimi necessari alle scorie per perdere totalmente la radioattività.
    Sono 3 i motivi per cui non si fa.
    1I razzi vettori non sono abbastanza affidabili per cui può avvenire un incidente ed allora si avrebbe una pioggia di scorie radioattive che avvolgerebbe aree di territorio immense, più grandi quanto più è elevata l'altitudine dell'esplosione.
    2Esiste il rischio di deliberato abbattimento del razzo vettore a scopo terroristico
    3La missione sarebbe solo una spesa e non un investimento, quindi non produrrebbe profittie quindi non esiste alcuna motivazione oggi per realizzarla.
    8 Maggio 2011
  2. Francesco Calderone
    temo che il punto 3 sia il più esplicativo, anche se i primi due, legati alla sicurezza, sono i più validi.
    8 Maggio 2011
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