Fukushima I: livello 6 della scala INES, ma qual'è la verità?
A distanza di più di due settimane dal terribile terremoto e dallo tsunami che hanno sconvolto il Giappone nord-orientale, continua a destare enorme preoccupazione la situazione dell'impianto nucleare di Fukushima I, che sin dal 12 Marzo, con una prima esplosione al reattore 1, ha allarmato la comunità mondiale riproponendo con forza il tema della sicurezza del nucleare anche nel dibattito pubblico italiano.
Ieri, con incomprensibile ritardo visti i dati oggettivi rilevati e visti i pronunciamenti di diverse agenzie estere, in primis l' Autorité de sûreté nucléaire (ASN) francese, anche il governo giapponese ha confermato che le radiazioni fuoriuscite dall'impianto di Fukushima hanno ampiamente superato il livello di quelle dell'incidente (5° livello scala INES, International Nuclear and radiological Event Scale) di Three Mile Island, riconoscendo implicitamente il livello 6 della scala INES all'incidente occorso ai reattori nipponici.
Alcuni calcoli, non ufficiali, ma riportati da taluni esperti, hanno denunciato un livello di contaminazione del suolo che in diversi punti è già paragonabile a quello di Chernobyl (7° livello, incidente catastofico) e, considerando che l'emissione di radionuclidi da Fukushima è tutt'altro che bloccata, c'è il rischio concreto di dover applicare anche in Giappone una così detta "area di esclusione" come è stato fatto in Ucraina e Bielorussia dopo il 1986.
La situazione, stando alle ultime notizie, è tutt'altro che sotto controllo e normalizzata, specialmente i reattori 2 e 3 (quest'ultimo alimentato con combustibile MOX - Mixed oxide fuel, miscela di uranio naturale e plutonio - , anche più pericoloso proprio per la presenza di plutonio) continuano a rilasciare radionuclidi come il Cesio 137 che indicano una probabile fusione del nocciolo.
Il vero problema al momento è la poca fiducia nelle comunicazioni ufficiali, certamente comprensibile se pensiamo ai comportamenti tutt'altro che trasparenti avuti dalla società gestrice degli impianti, la TEPCO, in passato, unita alla discordanza sui dati e sull'interpretazione degli stessi da parte di quelli che dovrebbero essere gli esperti: il rischio è che ci siano parti, ideologicamente e/o economicamente orientate, che enfatizzano o sottovalutano la situazione abdicando al dovere di responsabilità e onestà intellettuale che si richiederebbe in un caso come questo.
Solo per dare qualche esempio della schizofrenia dei dati attuali, nel paese di Iitate, a poco meno di 40 km. a nord-ovest dell'impianto nucleare Fukushima I, i livelli di Cesio 137 rilevati vanno dai 163.000 ai 3.260.000 becquerel a seconda della fonte; il professor Tetsuji Imanaka, docente di ingegneria nucleare all'Università di Kyoto, per confronto, rileva come nel caso di Chernobyl i residenti che si trovavano in regioni con livelli di cesio di 550.000 becquerel/ora per metro quadro sono stati forzatamente trasferiti altrove e reputa necessaria l'evacuazione di Iitate.
Per contro, Shigenobu Nagataki, professore emerito presso Nagasaki University, rileva che nel paese di Iitate la dose equivalente di radiazioni assorbita è pari "solo" a 3,7 millisievert/ora, un valore superiore alla norma ma tutt'altro che preoccupante se confrontato ai 50 millisievert cui furono in media esposti i cittadini sovietici nelle zone circostanti Chernobyl (2,4 millisievert/ora è considerato il valore medio del fondo naturale di radiazione).
E' evidente quindi che, a seconda dei dati e degli indicatori che prendiamo in considerazione e dell'attendibilità che vogliamo o possiamo attribuire alla diverse fonti, la differenza non è piccola e neppure irrilevante ai fini della salute; comprendere quale sia la verità diventa così quasi un atto di fede, un atto emotivo più che un atto razionale, con tutti i rischi che ciò può significare in una situazione drammatica come quella attuale.